domenica 21 febbraio 2010
Il marketing tribale
[…] con il passaggio dall’epoca moderna all’epoca “post-moderna”, nel comportamento di molti consumatori, si è assistito a un seppur parziale spostamento di interesse dal prodotto in sé per sé, ai legami ed alle identità sociali che i beni di consumo generano.
Molti sono stati i sociologi (ad esempio, Michel Maffessoli e Francesco Morace) che hanno messo in risalto come oggi, allo “sradicamento moderno”, in cui l’individuo è rimasto solo, libero e in balia di valori quali quelli della libertà, dell’innovazione e della globalizzazione, si accompagna, di contro, una sorta di “ri-radicamento post-moderno”, in cui il soggetto fa parte di una comunità,
“[…]condensazione istantanea, fragile sì, ma al tempo stesso oggetto di un forte investimento emozionale.”(Maffessoli, M., 2004, p.127)
Il legame che tiene in vita queste comunità ha fatto nascere nuovi valori che si oppongono a quelli dell’individualismo sfrenato: essi sono quelli dell’autenticità, della vicinanza e della localizzazione.
Insomma, dopo i primi quindici anni dalla nascita del concetto di post-modernità, in cui, tra le pagine dei sociologi, l’individuo ha fatto da protagonista indiscusso ed il contratto sociale ha soppiantato l’idea di comunità, negli anni ’90 alcuni sociologi hanno incominciato a parlare della comparsa di alcuni tentativi di ri-aggregazione sociale:
[..]
Ma queste comunità, pur avendo delle caratteristiche che le avvicinano ai raggruppamenti pre-moderni, non coincidono con essi; le cosiddette “tribù postmoderne” si vanno comunque ad inserire nell’ambito della società contemporanea, in cui il consumismo e diventato il motore della costruzione identitaria dell’individuo occidentale.
In tale nuovo contesto, il concetto di tribù cambia notevolmente. Non si tratta più di comunità legate dall’origine comune, né dalla religione, né da uno comune scopo. Quelle post-moderne sono comunità molto più effimere che si fanno e disfanno nel giro di pochissimo, legate, come sono, dal comune interesse del momento.
I membri di queste “neo-tribù post-moderne” non amano sottostare a regole troppo rigide e pesanti, non fanno parte di un ordine di una confraternita, di un’associazione o di un club, né nascono dall’operazione mentale di qualche agente esterno (non sono uno “stile di vita, una nicchia, o un segmento). Anzi, è molto difficile definire le caratteristiche dei componenti di queste neo-tribù, perché essi sono molto vari; i componenti stessi, spesso appartengono a più tribù contemporaneamente a seconda dei settori della vita quotidiana e dei loro personalissimi interessi.
Raggruppamenti emozionali di questo tipo sono sempre esistiti (si pensi ai mods o agli skinheads) […]
Oggi, ciò che riesce ad accomunare gli individui è proprio il fatto di consumare tutti la stessa cosa, insieme e nello stesso momento.
È questa la “strada concettuale” che ha portato il marketing ad interessarsi al vissuto quotidiano dei suoi consumatori al fine di riuscire, almeno in parte, a definire i momenti dell’interazione tra prodotti, servizi e clienti alla ricerca di una propria identità.
Il marketing tribale nasce in Europa, in contrapposizione al marketing one to one d’origine americana. Il suo principale teorizzatore è stato Bernard Cova che nel 2003 ha messo in evidenza come, nell’ottica Europea, e ancor più in quella mediterranea e latina, il consumismo attuale, invece di tuffarsi nelle onde sfrenate della personalizzazione, dell’individualismo e dell’innovazione, dà luogo a quel “ri-radicamento” di cui abbiamo appena parlato, attraverso la ricerca di comunità emozionali, legami sociali e radici comuni. All’individualismo ed al marketing one to one di tipo anglosassone, si oppone, così, la ricerca di legami sociali di tipo arcaico in seno a raggruppamenti che hanno sempre più le sembianze di tribù.
“Il marketing one to one usa la relazione come un mezzo per giungere ad uno scopo - cioè arrivare all’individuo - mentre il marketing di tipo tribale fa della relazione il vero scopo, e dell’emozione condivisa il mezzo per giungere a tale scopo.” (Cova, B.)
Il marketing tribale nasce (contrariamente a quello one to one) con l’obiettivo di mantenere e rinforzare (non tanto di creare) i legami fra i clienti, aiutandoli a condividere le loro passioni ed i loro interessi.
[…]
Nell’ambito di queste nuove tribù postmoderne, il prodotto non è la ragion d’essere, il motivo dell’unione fra i membri, che sono attratti gli uni agli altri più che altro da interessi comuni e dal piacere di condividere certe emozioni. In questo caso, il prodotto ha piuttosto una funzione che è paragonabile a quella del totem per le tribù primitive; esso funge da polo d’attrazione e da supporto per i loro “riti”.
Nel marketing tribale, ci spiega Bernard Cova, è fondamentale capire che non basta inserire della “comunitarietà” nell’immagine di marca o di prodotto (pratica che si è diffusa notevolmente dalla metà degli anni ’90), né che sia sufficiente creare delle banali comunità di marchio intorno al proprio brand (strategia adottata spessissimo nella costruzione della propria formula di webmarketing, inserendo la possibilità di creare forum e newsletters all’interno del proprio sito). Anche se dovessero andare in porto, queste strategie non producono neo-tribù, ma solo raggruppamenti di consumatori interessati ad un prodotto.
Nel loro approccio al marketing tribale, è bene che la maggior parte delle aziende capisca che la marca non può creare una tribù ex novo, la marca può solo rinforzarla, può lavorare in partnership con essa al fine di creare uno scambio reciproco.
Da ciò ne deriva che è necessario che un’operazione di marketing tribale degna di nota sia sempre supportata da una tribù effettiva, già esistente, che faccia da prova alla comunicazione aziendale circa il valore di legame della sua offerta.
“Il marketing tribale si sforza di sostenere il legame sociale fra soggetti uniti da una passione comune (la tribù).” (Cova, B.)
[…]
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